CRISTINA NUNEZ

Cristina Nuñez nasce in Spagna nel 1962 e fin da bambina si sente diversa, incompresa e non amata, cresce in una famiglia severa dove non riesce a esprimersi liberamente e questo la porta a sviluppare un forte senso di inferiorità durante l’adolescenza inizia a fare uso di droghe e vive un periodo molto difficile che la conduce anche alla prostituzione, si sente persa, senza valore, quasi invisibile agli occhi degli altri ma è proprio da questo buio profondo che nasce il bisogno urgente di esprimersi e di ritrovare se stessa così nel 1988 comincia a fotografarsi da sola usando l’autoritratto non per mostrarsi bella ma per raccontare le sue emozioni più vere, il dolore, la rabbia, la solitudine attraverso la fotografia trova un modo per conoscersi, accettarsi e iniziare un processo di trasformazione personale questo percorso la porta negli anni a sviluppare un metodo chiamato The Self-Portrait Experience, che aiuta le persone a usare l’autoritratto per esprimere ciò che hanno dentro e ritrovare il proprio valore oggi Cristina è conosciuta a livello internazionale per il suo lavoro artistico e sociale ha ricevuto premi importanti, ha esposto le sue opere in molti paesi e continua a tenere workshop con persone di ogni tipo, aiutandole a trasformare la sofferenza in arte e la vulnerabilità in forza.

Cristina Nuñez lavora principalmente attraverso l’autoritratto fotografico che è il cuore del suo linguaggio espressivo la sua estetica è caratterizzata da immagini molto dirette, spesso crude e senza filtri, dove l’autenticità delle emozioni è più importante della perfezione tecnica le sue fotografie mostrano il corpo e ilvolto senza abbellimenti, spesso in primo piano o in pose naturali e spontanee, quasi sempre senza trucco o artifici, per restituire la realtà così com’è lei utilizza la macchina fotografica in modo molto semplice e accessibile spesso si scatta da sola con una fotocamera impostata su un treppiede o su superfici stabili usa il timer o un telecomando per gestire lo scatto in completa autonomia in questo modo diventa al tempostesso fotografa e soggetto il processo è molto personale e intimo perché lei stessa decide come porsi e quale immagine catturare senza dipendere da uno sguardo esternoL’estetica di Nuñez si distingue per un forte realismo emotivo: niente è nascosto o edulcorato, e questa onestà crea una grande forza comunicativa le sue fotografie spesso utilizzano una luce naturale o semplice, evitando effetti tecnici complessi, per mantenere l’attenzione sul soggetto e sulle sue emozioni più profonde. In sintesi il lavoro di Cristina Nuñez si basa su un rapporto diretto e intimo tra la persona e la propria immagine in cui la macchina fotografica diventa uno strumento di scoperta di sé e di liberazione estetica ed emotiva.

MOIRA RICCI

Moira Ricci è una fotografa e artista visiva italiana, nata il 19 aprile 1977 a Orbetello, in Maremma, una zona della Toscana ricca di paesaggi naturali e tradizioni contadine. È cresciuta in un ambiente rurale, immersa nella vita di campagna, tra campi, animali e piccole comunità. Questa dimensione semplice e concreta, legata alla terra e alla memoria, ha lasciato un segno profondo nella sua sensibilità artistica e nella visione del mondo che esprime nelle sue opere. Durante l’infanzia, Moira Ricci sviluppa un forte legame con la propria famiglia, soprattutto con la madre, figura centrale nella sua vita e nella sua futura produzione artistica. Fin da giovane mostra interesse per le immagini e per il loro potere di raccontare storie, conservare ricordi e dare forma alle emozioni. L’uso della fotografia nasce quindi da un bisogno intimo e personale, più che da un interesse tecnico. Dopo gli studi scolastici, Moira Ricci si trasferisce a Milano, dove decide di dedicarsi pienamente alla formazione artistica. Frequenta la Scuola di Fotografia R. Bauer, dove apprende le basi tecniche della fotografia analogica e digitale, e successivamente si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera, nel corso di arti multimediali. Qui amplia il suo linguaggio visivo sperimentando non solo la fotografia, ma anche il video, l’installazione e la manipolazione digitale delle immagini. È in questo periodo che inizia a costruire la propria identità artistica, fondendo insieme arte, memoria e vita personale.

L’estetica di Moira Ricci si basa su un equilibrio delicato tra realtà, memoria e immaginazione. La sua arte nasce dal desiderio di dare una forma visiva ai ricordi e di costruire un dialogo costante tra passato e presente. Nelle sue fotografie, la realtà non è mai rappresentata in modo oggettivo, ma sempre filtrata attraverso l’emozione, l’esperienza personale e la memoria. Uno dei temi centrali nel suo lavoro è proprio la memoria, intesa come legame profondo con le persone, i luoghi e le esperienze della propria vita. Moira Ricci utilizza la fotografia per rivivere e rielaborare momenti importanti del suo passato, soprattutto quelli legati alla figura della madre, scomparsa prematuramente. In molti suoi lavori, come nella serie 20.12.53 – 10.08.04, l’artista si inserisce digitalmente dentro vecchie fotografie di famiglia, accanto alla madre, creando immagini che uniscono tempi diversi. Questo gesto non è solo tecnico, ma profondamente simbolico: è un modo per colmare un’assenza e per riportare in vita un legame affettivo. Nell’estetica di Moira Ricci si mescolano realtà e finzione. Le sue opere non rappresentano la realtà così com’è, ma la reinterpretano, costruendo un racconto visivo dove il confine tra vero e immaginario diventa sottile. Attraverso l’elaborazione digitale, riesce a creare immagini che sembrano reali, ma che contengono un significato più profondo, legato all’intimità e al ricordo. In questo modo la fotografia diventa uno spazio creativo in cui la verità non è quella esterna, ma quella interiore. Un altro elemento fondamentale del suo linguaggio è il rapporto con il territorio. Moira Ricci è molto legata alla sua terra d’origine, la Maremma toscana, e nei suoi lavori il paesaggio ha un ruolo importante. Le campagne, le case rurali e gli spazi abbandonati diventano simboli del tempo che passa e delle trasformazioni della società. Nei suoi progetti dedicati al territorio, come Dove il cielo è più vicino, la natura e la memoria si intrecciano, creando un legame tra il vissuto personale e quello collettivo. Dal punto di vista visivo, le opere di Moira Ricci si riconoscono per atmosfere sospese e silenziose, dove la luce è morbida e i colori sono spesso tenui, quasi malinconici. Le sue immagini trasmettono calma e intimità, e ogni elemento sembra avere un significato emotivo. Anche se utilizza strumenti digitali e tecniche contemporanee, il suo stile resta profondamente umano e poetico.

WORLD PRESS PHOTO

COS’È WORLD PRESS PHOTO?

La World Press Photo è un’organizzazione no-profit fondata ad Amsterdam nel 1955, famosa per il suo concorso internazionale di fotogiornalismo. Ogni anno premia le migliori immagini realizzate da fotografi professionisti di tutto il mondo, che raccontano eventi e temi di grande attualità. Le foto vincitrici vengono presentate in una mostra itinerante, in un catalogo e in diverse iniziative. L’obiettivo è promuovere il fotogiornalismo di qualità e sensibilizzare il pubblico sui principali temi globali.

L’autore è Federico Rios Escobar, un fotoreporter colombiano. I suoi lavori trattano tematiche riguardati al conflitto armato in Colombia e sulle immigrazioni in America Latina. Attraverso la sua fotografia documenta temi sociali complessi con uno sguardo profondamente umano, attento alla dignità delle persone ritratte. La fotografia fa parte del progetto chiamato: “Paths of Desperate Hope / Le chemin de la dernière chance”. La foto è stata scattata nella giungla del Darién Gap, al confine tra Colombia e Panama. È un luogo simbolo della migrazione, attraversato ogni anno da migliaia di persone provenienti dall’America Latina, ma anche da Africa e Asia, nel tentativo di raggiungere gli Stati Uniti. L’immagine rappresenta un attimo di umanità nel complicato scenario della migrazione: visi affaticati, atti di supporto, corpi segnati dall’estenuazione e dal fango. Escobar descrive la speranza e la disperazione dei migranti, evidenziando la loro resilienza e la solidarietà che emerge anche nelle circostanze più difficili. Non rivela solo il dolore, ma anche la dignità di chi prosegue nel camminare. I dati tecnici specifici dello scatto non sono noti, ma si può ipotizzare che Escobar abbia utilizzato una fotocamera professionale, reflex o mirrorless (come Canon o Nikon full frame), ideale per lavorare in condizioni di luce naturale complesse. Probabilmente ha selezionato un valore ISO medio-alto, compreso tra 800 e 1600, per bilanciare la bassa illuminazione della giungla. Il tempo di esposizione potrebbe essere stato circa 1/250 o 1/500 di secondo per congelare il movimento, mentre un’apertura ampia, tra f/2.8 e f/4, ha consentito di separare il soggetto e generare una profondità di campo limitata. Potrebbe aver impiegato un obiettivo da 35mm o 50mm, perfetto per preservare una prospettiva autentica e un collegamento diretto con le persone ritratte. Secondo me il fotografo non ha post-prodotto la foto, questo per mantenere la realtà senza andare a rovinare la veridicità dell’immagine

VIVIAN MAIER

Vivian Maier nacque nel 1926 a New York da madre francese e padre austro-ungarico. Passò gran parte della sua infanzia tra Francia e Stati Uniti, vivendo a New York e in Europa, soprattutto in Francia, dove frequentò le scuole superiori. Durante gli anni in Europa sviluppò il suo interesse per la fotografia, un’attività che continuò a coltivare per tutta la vita. Negli anni ’50 si trasferì definitivamente a Chicago, dove iniziò a lavorare come bambinaia, un impiego che mantenne per oltre quarant’anni. In questo ruolo trascorreva molte ore con i bambini delle famiglie per cui lavorava, ma il suo vero interesse rimaneva la fotografia. Vivian era una persona molto riservata e solitaria, poco propensa a condividere i suoi scatti o a parlare del proprio lavoro. Fotografava principalmente per sé stessa, senza mai cercare di mostrare o vendere le sue immagini. Si muoveva spesso per le strade di Chicago e di altre città americane, con una macchina fotografica Rolleiflex sempre al collo, catturando scene di vita quotidiana, volti di sconosciuti, momenti spontanei, persone comuni e situazioni urbane. Non utilizzava quasi mai la fotografia in modo costruito o artificiale, ma preferiva cogliere la realtà così com’era. La sua produzione fotografica è rimasta nascosta per decenni. Fu scoperta solo dopo la sua morte, nel 2009, quando un collezionista acquistò all’asta una scatola di negativi appartenuta a Vivian. Questa scoperta portò alla luce migliaia di scatti che rivelarono un talento straordinario e uno sguardo unico sulla vita americana del XX secolo. Negli anni successivi, il suo lavoro è stato studiato e apprezzato in tutto il mondo, trasformandola da sconosciuta a una delle più importanti fotografe di street photography mai emerse. La sua vita rimane avvolta nel mistero, ma il suo lavoro continua a parlare, mostrando una visione intima e profonda della società e della natura umana.

La sua estetica si caratterizza per un forte interesse verso la vita urbana e le persone comuni che cattura con grande empatia e attenzione ai dettagli Le sue immagini sono spesso in bianco e nero e mostrano scene di strada con composizioni molto curate e un uso sapiente della luce e delle ombre Questo le permette di creare atmosfere intense e suggestive Nei suoi scatti si percepisce una grande capacità di osservazione e di cogliere momenti spontanei che raccontano storie diverse Maier usa spesso angoli insoliti e riflessi per rendere le sue fotografie più originali e dinamiche La sua estetica è allo stesso tempo documentaristica e artistica perché riesce a mostrare la realtà quotidiana con uno sguardo poetico e profondo Questa combinazione fa sì che le sue fotografie abbiano un forte impatto emotivo e raccontino più di una semplice immagine di strada La sua arte è anche un esempio di come la fotografia possa essere uno strumento per esplorare la condizione umana attraverso piccoli dettagli che spesso passano inosservati